Percezione. E’ sempre e solo tutta una questione di percezione. La parola deriva dal latino perceptio. L’atto del percepire, cioè del prendere coscienza di una realtà che si considera esterna, attraverso stimoli sensoriali e interpretati mediante processi intuitivi, psichici ed intellettivi.
Vi dice forse qualcosa questa definizione? Che il gioco del poker, soprattutto live, dove si gioca un torneo alla volta della durata di più giorni, spesso con una lentezza esasperante, sia tutta una questione di percezione? Quante volte abbiamo sentito, se non pronunciato noi stessi, frasi del tipo: “Lo sapevo che eri in bluff!”oppure “Ero certo che avessi il nuts!”
Quindi la parte difficile in una partita di poker sta anche nella percezione degli avversari, insomma nella difficoltà di arrivare alla verità pokeristica assoluta. Che poi, diciamocelo francamente, è anche il bello di questo appassionante gioco! Ed è anche vero l’esatto contrario, cioè non importa che carte hai in mano, ma è molto più importante la mano che tu cerchi di far percepire ai tuoi avversari. Detto così sembrerebbe quasi una passeggiata di salute, ma è l’aspetto fondamentale in una partita live, quella che fa la differenza tra un giocatore amatoriale ed un professionista delle carte. Il poker è costellato di meteore che hanno fatto lo shippo della vita e poi sono spariti quasi del tutto, salvo vivere di rendita girando i vari circuiti senza più nulla da dire e da dare al mondo del poker. Ma sono i giocatori del calibro di Jason Mercier, Jonathan Duhamel, Marvin Rettenmaier i veri maestri della percezione, con una serie di ITM più vasta di una collezione di figurine Panini, sempre presenti agli appuntamenti che contano.
Io credo che il poker sia un gioco dove fortunatamente non esiste una verità assoluta. In un articolo che ho letto recentemente il poker viene definito come la capacità della gente di guidare un’automobile. Tutti si considerano più bravi della media. Direi che il paragone è perfettamente pertinente. In un gioco dove la varianza uccide, i flip e i 60-40 spesso decidono le sorti del torneo e si preferisce imputare alla sfortuna che non ad errori commessi durante lo svolgimento della competizione la prematura uscita; esattamente come si imputa alla nostra bravura il raggiungimento di un tavolo finale che non ai coin flip decisivi vinti. Spesso la verità sta nel mezzo, ma è indubbiamente vero che il nostro ego ha costante bisogno di alimentazione!
Le prime WSOP si sono disputate su invito nel 1970 e vi hanno preso parte quelli che erano considerati i 7 migliori giocatori del mondo (ovviamente Doyle Brunson faceva già parte dell’allegra brigata!) Dopo un paio di giorni di gioco hanno deciso di eleggere il primo campione del mondo attraverso una votazione. Il finale è abbastanza scontato: volete sapere chi ha vinto? In prima votazione ognuno aveva votato per se stesso, decretando un super ex-equo a 7! Quindi si è dovuta ripetere la votazione dove è stato imposto di non poter votare per se stessi, e solo allora è stato decretato il vincitore delle prime WSOP: Johnny Moss. Nessun premio in denaro per lui, ma solo l’onore di essere stato il primo campione di una lunga serie.
Credo che questo sia un aneddoto abbastanza significativo sulla percezione che si ha del proprio gioco in rapporto agli avversari. Io credo che almeno il 90% dei giocatori si consideri superiore alla media. E dato che questa supposizione ovviamente non ha riscontro matematico risulta ovvio che il vero vincitore nel gioco del poker sia colui che sa avere la giusta percezione del proprio gioco in raffronto ai periodi di swing, up o down che siano. Comunque sia resta il fatto che io guido l’automobile molto meglio della media nazionale!
Buon poker a tutti.
Marco Zanini
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