La recente apertura di Full Tilt Poker.eu ha portato alla luce una questione delicata e importante, per quanto riguarda il poker online. La formula adottata dalla poker room è migliore rispetto al sistema di licenze nazionali?

La recente apertura di Full Tilt Poker.eu ha portato alla luce una questione delicata e importante, per quanto riguarda il poker online. La formula adottata dalla poker room è migliore rispetto al sistema di licenze nazionali?

 

Con l’aggiunta di Svezia, Finlandia, Paesi Bassi, Germania, Romania e Polonia, Full Tilt Poker.eu si arricchisce di altri sei paesi, oltre a Lussemburgo, Slovenia e Grecia, già presenti al momento del lancio. Possiamo dunque parlare di bacino d’utenza condiviso tra sei paesi facenti parte dell’Unione Europea, un po’ la stessa cosa che avrebbero intenzione di fare quelle nazioni, Italia in testa, dove vige un sistema diverso. La scelta di Full Tilt Poker è data dal fatto che in alcuni paesi le vincite online non sono tassate, quando vengono ottenute su un sito la cui base è situata in uno stato membro dell’UE.

La notizia ci dà l’occasione di confrontare questi due modelli, il .eu e quello delle licenze. Da una parte abbiamo i paesi di cui sopra, che si stanno affidando al poker online.eu, e dall’altro Italia, Spagna, Francia, che invece si sono dotate di un sistema che prevede concessioni nazionali e un bacino d’utenza ristretto ai residenti nei soli confini. Così su due piedi, il confronto appare decisamente impari.

Posto che il modello adottato da Full Tilt Poker è perfettamente legale, secondo le leggi dell’Unione Europea, sembra anche vincente: abbattere i confini nazionali permette non solo di creare appunto un bacino d’utenza molto più ampio, ma anche alle room di poter offrire tornei e promozioni più vantaggiosi, visto che il volume d’affari aumenta esponenzialmente. Una win-win situation, come direbbero gli americani.

Viene naturale, dunque, domandarsi per quale motivo anche i paesi dell’Europa latina non possano convertirsi al .eu, invece di creare una sorta di lega privata, come sembra sia nei piani di AAMS, ARJEL e DGOJ. Chiaramente in ballo ci sono interessi economici non indifferenti e difficoltà tecniche che noi possiamo soltanto immaginare. Ma se ce l’hanno fatta altri nove paesi europei, perché non l’Italia?

Per spezzare una lancia in favore di quei paesi, come il nostro, dotati di un sistema di concessione, c’è da dire che ciascuna nazione europea ha il proprio regime fiscale. Ci possono essere paesi in cui è molto simile, ma anche paesi in cui le norme sono distanti anni luce. Far coesistere entità così eterogenee non è cosa semplice. Le licenze nazionali, è vero, limitano di molto le possibilità, ma permettono di controllare in maniera efficace e coerente le entrate tributarie.

Tuttavia è inutile negare che il futuro spinge nella direzione di un mercato comune. Già l’anno scorso, in occasione di un summit a Bruxelles tra la Commissione Europea e gli enti regolatori nazionali (AAMS incluso), si è paventata l’ipotesi di aprire una liquidità europea, respinta però proprio per questioni fiscali. Ci sarà ancora parecchio da lavorare, ma in un futuro più o meno lontano possiamo aspettarci di tornare a giocare con appassionati provenienti da un po’ tutta Europa.

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